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ATTI E PASSIONI DEI MARTIRI: ANALISI TEMATICA E LESSICALE
a cura di Chiara Chiessi
Breve nota biografica dell’autrice
Chiara Chiessi è nata a Roma il 29/10/1994 e si è diplomata al Liceo Classico Platone di Roma con la votazione di 100/00. Ha partecipato nel maggio 2013 al Certamen Ciceronianum ad Arpino e sempre nello stesso anno all’Agon Sofokleios a Termoli.
Si è laureata al corso di laurea triennale in Lettere Classiche (Università RomaTre) nell’anno accademico 2016-2017, discutendo una tesi su un confronto tra la Regola di Basilio e la traduzione latina di Rufino, traducendo anche in parte la stessa Regola ( si tratta della prima traduzione italiana) ed arrivando a conclusioni inedite.
Si è diplomata alla Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica all’Archivio di Stato di Roma ed ha conseguito il diploma di iniziazione alle antichità cristiane presso il PIAC (Pontificio Istituto Archeologia Cristiana).
Collabora con alcune testate giornalistiche nella diffusione dei valori cristiani soprattutto da un punto di vista letterario ed artistico.
Attualmente sta preparando una tesi magistrale sulla Passio Petri dello Peudo Egesippo (IV secolo).
INDICE GENERALE:
IL MARTIRE COME EROE UNIVERSALE 3
1.1. Definizione lessicale di atti e passioni ed accenni alla loro terminologia 5
1.2. Origine di atti e passioni 5
1.3. Desiderio di memoria imperitura 7
1.4. Gli atti: tra realtà e leggenda 7
IL MARTIRE NEL TESTO: ANALISI TEMATICA E LESSICALE 9
2.1. Martyrium Polycarpi: breve introduzione 9
2.2. Martyrium Polycarpi: 13,1-14,3 9
2.3. Martyrium Polycarpi: 18,1-18,3 10
MARTYRIUM LUGDUNENSIUM: BREVE INTRODUZIONE 11
3.1. Martyrium Lugdunensium: 1,7-1,10 11
3.2. Martyrium Lugdunensium: 1,17-1,19 12
3.3. Martyrium Lugdunensium: 1,33-1,35 12
3.4. Martyrium Lugdunensium: 1,53-1,56 13
3.5. Martyrium Lugdunensium: 1,62-1,63 14
PASSIO PERPETUAE ET FELICITATIS: breve introduzione 16
4.1. Passio Perpetuae et Felicitatis: 4,1-4,10 16
4.2. Passio Perpetuae et Felicitatis: 7,1- 8,4 18
4.3. Passio Perpetuae et Felicitatis: 17,1-17,3 19
“Il sangue dei martiri è seme di cristiani”
(Tertulliano, Apologeticum 50,13)
IL MARTIRE COME EROE UNIVERSALE
Non è affatto facile trattare degli atti e passioni dei martiri. Ci sono molti dubbi interpretativi, questioni aperte, molta diffidenza soprattutto perché in certi casi possediamo poche fonti.
Il martire è sempre stato una personalità affascinante, che ha da subito attirato le attenzioni di resoconti, scritti e leggende.
Pensiamo nel mondo antico ai filosofi e scrittori Socrate, Cremuzio Cordo e Trasea Peto, a donne eroiche come Verginia e Lucrezia, a patrioti come Muzio Scevola ed Attilio Regolo. Questi hanno suscitato ammirazione da parte di tutti, sia cristiani che pagani, per la loro fermezza, per la loro eroicità nell’affrontare la morte.
Addirittura gli stessi scrittori cristiani, come Tertulliano, li presentavano come esempi per i loro correligionari. Già dunque esisteva una vera e propria raccolta delle morti di questi personaggi – exitus illustrium virorum- in cui questi personaggi venivano rappresentati come vittime del potere imperiale, secondo topoi propri di questi scritti: accettazione della morte, tranquillità esteriore ed interiore, gesti teatrali, affanno e preoccupazione degli amici in contrapposizione alla serenità stoica della vittima.
Non solo dunque il martire cristiano si trova in una posizione privilegiata rispetto agli altri cristiani, ma anche il martire pagano da sempre ha goduto di una posizione particolare: un enorme prestigio che si può trasformare anche in venerazione, tanto che ad esempio alla morte dei martiri cristiani, i corpi venivano conservati con cura insieme al prezioso sangue.
Pare che Tertulliano, grande scrittore ed apologista latino del II-III secolo, si sia convertito al cristianesimo proprio assistendo ai giochi del circo in cui trovarono la morte molti martiri. Nel suo Apologeticum, scriverà che il sangue dei martiri genera nuovi cristiani: da ciò comprendiamo la necessità che avevano le varie comunità di far conoscere le vite dei loro martiri.
Inoltre, al martire verranno associate una molteplicità di altre figure metaforiche: il martire come atleta, come soldato di Cristo, in quanto collegato alla durezza ed alle sofferenze da sopportare durante le esercitazioni.
Questo concetto è proprio anche della letteratura classica, soprattutto quella stoica: la figura dell’atleta era un simbolo per rappresentare la difficoltà nella conquista delle virtù morali, ed i cristiani la ripresero per sottolineare il prestigio morale dei loro martiri.
Concludo questa breve introduzione, con l’augurio che la lettura di queste straordinarie testimonianze, possa aiutarci a conoscere ancora di più la figura del martire come alter Christus.
GLI ATTI E LORO INTRODUZIONE
1.1. Definizione lessicale di atti e passioni ed accenni alla loro terminologia
Intorno alla metà del II secolo inizia ad affermarsi un nuovo tipo di letteratura, la letteratura martiriale, che aveva come unico scopo quello di far conoscere ed ammirare gli esempi di quei cristiani che testimoniarono la loro fede con il sangue.
Fino alla metà del III secolo, il cristianesimo aveva rivestito la posizione di religio illicita, e pertanto era stato duramente perseguitato (ricordiamo le persecuzioni di Nerone 54-68 d.C, Decio 249-251 d.C, Diocleziano 284-305 d.C); questa situazione aveva prodotto un ingente numero di martiri, i quali erano oggetto di una vera e propria venerazione da parte dei fedeli.
Per atti dei martiri, intendiamo dunque i resoconti di quei processi inflitti ai cristiani a causa della propria fede. Non si tratta di resoconti ufficiali provenienti dalla magistratura imperiale, ma di scritti in cui vengono utilizzati procedimenti verbali di condanna.
Il termine latino acta, può dunque designare i processi giudiziari a cui erano sottoposti i martiri, ma fuori dal gergo burocratico potrebbe significare anche le azioni coraggiose, e soprattutto l’eroicità dimostrata dai cristiani nella loro perseveranza.
A volte infatti il termine gesta coincide con acta, quindi l’espressione acta martyrum in senso lato comprende tutte le sofferenze che il martire patisce per amore di Cristo, perciò le “gesta” di quel cristiano che con coraggio si confronta con il potere temporale.
Accanto al termine atti, per designare altri scritti relativi al martirio, compare dal principio il termine passiones, inteso non in contrapposizione agli acta, ma semplicemente utilizzato per sottolinearne l’elemento narrativo preponderante, ovvero la narrazione di sofferenze e dolori culminanti con la morte.
1.2. Origine di atti e passioni
Qual è effettivamente l’origine di queste composizioni?
Di certo, secondo una prima ipotesi, molto importante sarebbero gli influssi pagani connessi ai rapporti conflittuali tra alessandrini e romani. Secondo alcune scoperte papiracee in Egitto, ci sono molte testimonianze di processi subiti da alessandrini
per mano di autorità romane. I frammenti riportano i conflitti preponderanti tra Alessandria, sede del sapere ellenistico, ed i romani, visti come privi di cultura.
Durante i primi due secoli, questi rapporti furono ulteriormente complicati da atteggiamenti di antisemitismo, a causa della presenza di diverse comunità ebraiche. Gli alessandrini vengono presentati come martiri, difensori della propria cultura, eroi caduti in maniera gloriosa. Per definire queste testimonianze, si utilizzò il termine “atti dei martiri pagani”, collegati con i famosi exitus virorum illustrium, ovvero le narrazioni delle morti di famosi personaggi vittime di imperatori tirannici.
Quindi secondo una prima ipotesi, gli atti dei martiri cristiani sarebbero imparentati con questi exitus virorum illustrium e modellati sui precedenti atti dei martiri pagani.
Effettivamente quest’ipotesi è insostenibile: non abbiamo menzione né dei martiri alessandrini né dei loro processi, da parte di nessun autore cristiano.
Questi scritti non avevano effettivamente alcun interesse per i cristiani: per quest’ultimi infatti, era primario il valore religioso delle testimonianze e non l’implicazione politica.
Secondo invece l’ipotesi di Harnack, storico tedesco delle origini del cristianesimo, tra Cristo ed il martire si stabilisce un profondo legame, così che gli atti dei martiri rappresentino la continuazione del Nuovo Testamento.
Nel Vangelo di Matteo (10, 19-20) Cristo afferma di essere presente nel suo testimone, quindi chiunque sia processato pronuncerà le parole che gli verranno suggerite dallo Spirito Santo.
Per questo motivo, queste parole vengono raccolte devotamente dai fedeli.
E’ inoltre interessante accostare la passione del martire a quella di Cristo. Il martire è effettivamente il continuatore di Cristo, che sacrifica la propria vita per rendere testimonianza di ciò in cui crede.
Nella Passio Perpetuae i martiri subiscono la flagellazione, la stessa pena che era toccata a Cristo, e gioiscono di questo poiché ricercano una qualche identificazione con il loro Signore. In quest’ottica, c’è continuità tra gli scritti del Nuovo Testamento e gli atti dei martiri.
Per avere però un quadro completo, è lecito affermare che in alcune passioni, abbiamo degli elementi giudaici.
Nella passione di Policarpo, ad esempio, viene ricordato il sacrificio dei sette fratelli Maccabei con la loro madre.
Anche nella stessa narrazione dei martiri di Lione, Blandina ultima ad essere uccisa, è paragonata alla madre dei Maccabei, in quanto ha incoraggiato i suoi compagni, fino a Pontico il più giovane, ad andare a morire.
Ci sono delle differenze sostanziali nella venerazione dei martiri giudei e cristiani. [1]Per quanto riguarda i primi, la venerazione si ricollega ad un luogo ed è una devozione privata. Per i secondi, è un fatto che coinvolge tutta la Chiesa: ogni anno la comunità si radunava sul luogo del martirio, celebrando il sacrificio di Cristo che continua nel sacrificio del martire, e leggendo nella liturgia della parola la testimonianza del supplizio sofferto.
Solamente nel 400[2] verrà autorizzata la lettura ufficializzata degli acta accanto a quella delle letture bibliche, mentre nelle Chiese d’Oriente probabilmente non esisteva quest’usanza.
1.3. Desiderio di memoria imperitura
Ho già accennato che il giorno della morte del martire, la Chiesa si radunava per ricordarlo e celebrava un insieme di cerimonie, consistenti in preghiere, salmi e riti, con l’Eucaristia ed il pasto funerario, il refrigerium.
Quale motivo spingeva i cristiani a ricordare in questa misura il martire, sia con queste celebrazioni che con la redazione degli atti?
La Chiesa desiderava avere per iscritto le storie della confessio dei propri martiri, sia come incoraggiamento per gli altri cristiani, sia perché il martirio di qualche membro di una comunità, veniva annunciato anche a tutte le altre.
La Chiesa formava un corpo unico, ed attraverso le varie lettere possiamo constatare come le varie comunità s’incoraggiassero a vicenda nelle difficoltà.
Il martire era dunque uno strumento di coesione interna per tutta la Chiesa, un esempio da ammirare e venerare, un fratello o una sorella da invocare nelle preghiere giornaliere, ma soprattutto un eletto nell’aver perpetuato il sacrificio di Cristo.
Per questo motivo, dirà Eusebio (Historia Ecclesiastica) che il martire è degno di “memoria imperitura”.
1.4. Gli atti: tra realtà e leggenda
Non tutti gli atti dei martiri costituiscono naturalmente il resoconto veritiero ed oggettivo dell’azione giudiziaria o del processo. Vi sono però degli atti degni di fiducia, che vengono distinti dagli altri sulla base di argomenti di critica interna: per esempio quando abbiamo incertezze o dubbi cronologici, caricature di imperatori ed elementi che sono in contrasto con ciò che ci tramandano le scienze storiche, allora questi atti sono soggetti al dubbio.
In alcuni casi, abbiamo testimonianze del contenuto degli atti anche in altre fonti. E’il caso della passione di Perpetua, confermata da altre iscrizioni e da autori posteriori, come anche per gli atti di Cipriano. Dobbiamo ricordare inoltre la presenza nel IV secolo dei martirologi, calendari indicanti la data di morte dei martiri, che attestano la presenza della celebrazione liturgica in onore di questi.
Analizzando il contenuto degli atti, ci possiamo rendere conto della loro veridicità: a volte ci sono dettagli o dialoghi che non possono essere frutto di finzione, altre volte abbiamo ritratti positivi di magistrati che a malincuore condannano a morte i cristiani, contrapposti alle immagini di tiranni dispotici e violenti descritti con evidente caricatura.
E’ ovvio che la composizione degli atti dei martiri è un’opera di redazione che si basa sulla consultazione degli archivi e di testimoni oculari. Una volta ultimato, il documento veniva riconosciuto dalla Chiesa ed inserito nei suoi archivi. Si venivano quindi a costituire delle vere e proprie raccolte di atti dei martiri, che potevano essere trascritte oppure inviate alle Chiese vicine.
Tali raccolte sarebbero inoltre all’origine dei famosi legendaria, racconti medievali delle passioni dei martiri, di carattere alquanto sospetto.
IL MARTIRE NEL TESTO: ANALISI TEMATICA E LESSICALE
2.1. Martyrium Polycarpi: breve introduzione
Di Policarpo sappiamo che si era convertito al cristianesimo in età molto giovane ed era stato in rapporto con i discepoli di Gesù.
Si era recato a Roma per cercare di appianare i contrasti tra questa e l’Asia riguardo la celebrazione della Pasqua. La data del martirio è alquanto controversa: oscilla tra il 156 ed il 167. L’evento è narrato in una lettera inviata dalla Chiesa di Smirne, di cui Policarpo era vescovo, a quella della Frigia, scritta meno di un anno dopo il martirio.
2.2. Martyrium Polycarpi: 13,1-14,3
In questo passo abbiamo la narrazione vera e propria del martirio. Interessante è osservare come anche la folla collabori nel preparare il rogo per Policarpo, particolarmente per quanto riguarda i giudei, che si mostrano animosi e solleciti nel raccogliere legna e rami secchi. Questo è un chiaro segno dell’odio e del contrasto che serpeggiava tra comunità giudaiche e cristiane.
Policarpo quindi, si spoglia di tutte le sue vesti compresi i sandali, nonostante i suoi fedeli facessero a gara per aiutarlo. Questo semplice atto è un chiaro segno di quanto fosse tenuto in conto nella sua comunità.
Non viene inchiodato, ma solo legato.
“Ed egli, [….], avvinto come un superbo montone scelto fra numeroso gregge per essere sacrificato ed approntato quale olocausto ben accettato dalla divinità […]”
(14,1)[3]
E’ chiara in questo passo, l’analogia tra il sacrificio di Cristo che si presenta come “agnello condotto al macello” e Policarpo, superbo montone scelto fra un numeroso gregge. La simbologia non è casuale: ricordiamo la parabola del buon Pastore, dove Cristo conduce alla salvezza il suo gregge. Policarpo è paragonato ad un montone, cioè l’animale che più spicca nel “gregge”, in questo caso per la sua rettitudine di vita e le sue virtù.
Succesivamente, come in un topos proprio della letteratura martiriale, il martire innalza una preghiera fervorosa a Dio, ringraziandolo del privilegio concesso nel morire come testimone e nel prendere posto nel calice di Cristo.
Ecco ancora il martire presentato come alter Christus: il sangue di Gesù, morto per salvare l’umanità, si identifica con il sangue del martire sparso per testimoniare fino all’ultimo la sua fede.
Invece da un punto di vista lessicale, è interessante osservare la scelta del termine παῖς per designare la qualificazione di Cristo figlio di Dio. ( 14,1)
Il Nuovo Testamento preferisce impiegare per il medesimo significato il termine υἱός, anche se παῖς viene utilizzato cinque volte in riferimento a Cristo, ma solo due volte con il significato di “figlio di Dio”, le altre volte con il significato di “servo”.
2.3. Martyrium Polycarpi: 18,1-18,3
Alla morte di Policarpo, i giudei invidiosi desiderano che il corpo sia cremato; questo per evitare che i cristiani adorino il martire al posto di Cristo.
Alcuni cristiani però, riuscirono a raccogliere le sue ossa ed a riporle in un luogo apposito: da ciò comprediamo l’ammirazione che avevano nei confronti dell’anziano vescovo di Smirne.
In questo passo, abbiamo inoltre la testimonianza della celebrazione che aveva luogo presso la tomba del martire: i cristiani festeggiavano il dies natalis, ovvero il giorno della sua partenza per il Cielo, considerato in un’ottica di questo genere la sua vera nascita.
MARTYRIUM LUGDUNENSIUM: BREVE INTRODUZIONE
Il resoconto del martirio avvenuto a Lione nel 177, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, ci è pervenuto tramite una lettera della Chiesa di Lione a quelle dell’Asia e della Frigia. La tradizione della storia ci è stata riportata da Eusebio nella sua Historia Ecclesiastica , anche se gli avvenimenti non erano in sintonia con la politica ufficiale stabilita da Traiano qualche tempo prima, nei confronti dei cristiani ormai numerosissimi.
In assenza del legato imperiale infatti, furono imprigionati e processati molti cristiani che confessavano la loro fede.
L’imperatore Marco Aurelio aveva stabilito che i cristiani con la cittadinanza romana, al loro persistere nella fede, avrebbero dovuto subire la decapitazione; coloro che erano senza cittadinanza, la tortura.
Tra i martiri di Lione ricordiamo Blandina, il vescovo Potino ed altri quarantasei compagni che subirono pene e torture indicibili.
3.1. Martyrium Lugdunensium: 1,7-1,10
In questo passo è evidente il comportamento della folla inferocita contro i cristiani. Questi vengono maltrattati, insultati, trascinati al suolo, lapidati ed imprigionati: sembra quasi di rivedere il comportamento della folla nei confronti di Cristo, descritto con grande realismo dai Vangeli, prima della sua crocifissione.
Dopo essere stati imprigionati, vengono maltrattati dal governatore ed accusati di empietà ed ateismo.
A questo punto un cristiano eminente e famoso a Lione, traboccante d’amore e carità, di nome Epagato, prova a difendere i suoi compagni. Viene paragonato per il suo costume di vita al sacerdote Zaccaria: sollecito e zelante, pieno di fervore e carità.
Si dichiara cristiano, viene condannato a morte ed accolto nell’eletta schiera dei martiri.
Interessante è osservare il personaggio a cui viene paragonato Epagato: Zaccaria, personaggio descritto nel Vangelo. Come già spegato inizialmente, c’è quindi continuità tra Nuovo Testamento e gli scritti dei martiri.
Da un punto di vista lessicale, bisogna considerare l’etimologia del termine παράκλητος in riferimento a ciò che viene detto di Epagato: questi – si dice nel testo- viene fregiato dell’epiteto “Paracleto” ancor più di Zaccaria, compiacendosi di offrire la sua vita in difesa dei suoi fratelli.
Il martire era considerato l’advocatus per eccellenza, mediatore dei cristiani presso Dio, così anche lo Spirito Santo era appellato come consolatore degli uomini.
Il termine greco che traduciamo come “Paraclito”, è l’equivalente del latino advocatus , ed indica colui che sta a lato dell’accusato per difenderlo (come del resto aveva agito Epagato con i suoi fratelli).
Il primo vero Paraclito è Gesù Cristo, il quale promette assistenza e conforto a tutti coloro che verranno trascinati in tribunale per testimoniare la loro fede.
3.2. Martyrium Lugdunensium: 1,17-1,19
In questo passo abbiamo la narrazione delle pene e delle sofferenze inflitte ai martiri di Lione: in particolare spicca la figura di Blandina, una serva caratterizzata da una grande forza d’animo. Molti dei suoi compagni, compresa la stessa padrona terrena, temevano che non ce l’avrebbe fatta a rendere una sicura confessione di fede, ma Blandina sopportò ogni genere di tortura, tanto da far meravigliare i suoi accusatori. Infine la serva affermò di essere cristiana e confutò ogni sorta di accusa malvagia che era connessa a questa dottrina; le accuse contro i cristiani più frequenti erano cannibalismo, incesto, infanticidio, ateismo.
Pronunciò dunque una semplice frase e diede testimonianza del suo Dio:
“ Sono cristiana e da noi non si fa niente di male” ( 1,19)[4]
E’ Blandina l’eroina, la vera protagonista della vicenda. E’ un’eroina atipica, in quanto schiava, né bella né giovane, dal fisico fragile. La confessione di fede la rinnova, la riempie d’energia, diventa simile ad un valoroso atleta.
La sua vicenda è un segno del rovesciamento dei valori: Cristo ha dimostrato che ciò che davanti agli occhi degli uomini appare spregevole, è grande davanti a Dio.
“La pietra scartata dai costruttori, è divenuta testata d’angolo” (Mc 12, 1-12)
Attraverso il suo esempio, la sua preghiera, le sue esortazioni, molti altri cristiani si riempirono di coraggio nell’affrontare il martirio, perché vedevano in lei una sorella, una madre; Blandina infatti soffriva prima di tutto per la gloria di Cristo, in modo da essere per sempre unita a Lui. Per questo motivo suscitò l’ammirazione di tutti, specialmente dei pagani, i quali affermarono che mai una donna aveva sopportato così tremende torture.
3.3. Martyrium Lugdunensium: 1,33-1,35
In questo passo degli atti, viene esposta la situazione dei cristiani che si trovavano in carcere. Alcuni erano stati rinchiusi perché avevano confessato di essere cristiani, altri invece avevano abiurato, ma erano stati comunque incarcerati poiché rei di omicidio (incesto, omicidio ed infanticidio erano le accuse più comuni contro i cristiani). Mentre i primi erano gioiosi e desiderosi di morire per il loro Dio, gli altri erano tormentati nella coscienza e, dall’espressione del viso, si distinguevano dai primi. I cristiani che si erano offerti spontaneamente, avevano allegrezza e fierezza negli occhi, le stesse catene sono descritte come fossero ornamenti , insieme le loro
figure emanavano una dolce fragranza. Gli altri erano invece umiliati ed accusati dai pagani d’ignominia e viltà.
Viene qui menzionata una delle più importanti questioni che affliggerà non poco i cristiani: la questione dei lapsi, ovvero di coloro che avevano rinnegato la propria fede. Durante le persecuzioni di Decio e Valeriano infatti, si distinsero diverse categorie di cristiani apostati: coloro che avevano compiuto un vero e proprio sacrificio, coloro che avevano bruciato solo qualche granello d’incenso ed infine i libellatici, ovvero coloro che avevano esibito un certificato di culto pagano ottenuto con la corruzione.
Nella Chiesa del II secolo, l’apostata, nonostante avesse espiato la sua colpa con la penitenza, non poteva rientrare nella comunità. Dopo la persecuzione di Decio, erano molti gli apostati che volevano essere riammessi in comunione con la Chiesa e prender di nuovo parte al culto cristiano.
Si stabilì dunque, che per mezzo di un libellum pacis scritto da un confessore, ovvero di una raccomandazione al vescovo in favore dei rinnegati, sarebbe stato possibile essere riammessi in comunità, ricevendo però l’Eucaristia solamente in punto di morte.
A Roma invece, gli apostati non furono perdonati ma esortati a fare penitenza, in modo che, se fossero stati richiamati dalle autorità pagane, avrebbero potuto espiare la loro apostasia con la confessione ferma della fede.
Inoltre durante la persecuzione di Decio, la comunità di Roma fu retta dal collegio di presbiteri, di cui Novaziano era esponente principale.
Quando terminò la persecuzione, la comunità romana scelse come vescovo Cornelio; in risposta a ciò Novaziano dunque si fece ordinare da alcuni vescovi suoi alleati, dando inizia alla scisma.
Con la convocazione di sinodi a Roma ed in Africa (251), si cercò una soluzione comune al problema. I lapsi avrebbero dovuto compiere penitenze pubbliche e solo dopo, una volta pentiti, sarebbero stati riammessi in comunione con la Chiesa.
3.4. Martyrium Lugdunensium: 1,53-1,56
Questo passo descrive l’ultimo giorno dei ludi gladiatori, giorno in cui la coraggiosa Blandina trova la morte con molti altri compagni. Insieme a Pontico, un ragazzo di quindici anni, erano stati costretti ad assistere alla morte dei compagni affinché, impauriti, pronunciassero giuramento sugli idoli.
La folla era inferocita contro di loro, tanto che non ebbe pietà né della donna né del ragazzo e per questo i due furono sottoposti ad i tormenti più crudeli .
Blandina qui rappresenta una madre eroica, al pari della madre dei Maccabei che esorta tutti i suoi figli a morire vittoriosi, finché non si affretta anch’essa a raggiungerli. Il riferimento alla madre dei Maccabei è del redattore, ma fa parte di un topos cristiano, grazie al quale si coglie un nuovo aspetto dell’umanità e della forza di questa donna.
Blandina sarà l’ultima a morire, dopo aver tollerato diversi supplizi (le sferze, le fiere, la graticola), allo scopo di incitare i suoi fratelli e- come dice Paolo nelle lettere ai Romani ed ai Galati- di sconfiggere l’Avversario, rivestendosi del grande atleta che è Cristo.
Un aspetto interessante che ricorre in molti Atti, è la presenza edificante di giovani e giovanissimi martiri, vittime anche loro delle persecuzioni romane.
Sappiamo bene quanto il cristianesimo fosse un fenomeno variegato ed eterogeneo, comprendeva infatti fedeli di ogni condizione sociale e di ogni età.
Come ci è testimoniato dagli atti, furono molti i cristiani nel fiore degli anni a subire il martirio; offrendo la loro breve vita come testimonianza di fede.
Negli atti dei martiri di Lione, il giovane Pontico, esortato dalla consorella Blandina, è un esempio di questa schiera di giovani martiri: ricordiamo anche Pancrazio, Agnese, Tarcisio, Lucia, Agata.
Nella descrizione del loro martirio, il testo si carica d’umanità; ricordiamo in particolare all’interno della passione di Pancrazio, il passo relativo al processo che il giovinetto dovette subire da parte dell’imperatore Diocleziano: l’imperatore in tutti i modi cerca di convincere il martire a rinunciare alla morte, con la promessa di beni e ricchezze di ogni genere. E’ la giovane età di Pancrazio che lo fa impietosire, unita alla sua fermezza d’animo.
Non dobbiamo quindi pensare ad una descrizione di personaggi stereotipata, ma invece ricca d’umanità.
Agata prima di subire il martirio, piange e prega Dio chiedendo il dono della fortezza nel martirio; dopo aver subito i tormenti, prima di morire, ringrazia Dio di averle donato la virtù della pazienza.
Questi martiri, se pur giovani, non fanno riferimento alle proprie forze ma si affidano a Dio, ritenendosi deboli e vulnerabili: questa è la prova della loro umanità.
3.5. Martyrium Lugdunensium: 1,62-1,63
In questo passo conclusivo degli atti, viene descritta la situazione cui sono sottoposti i martiri alla loro morte: i loro cadaveri vengono esposti per sei giorni, poi ridotti in cenere e dispersi, affinché non fossero più reperibili.
Con questo comportamento, i pagani dimostrano il disprezzo che nutrono nei confronti dei cristiani, affinché questi non possano sperare nella risurrezione.
L’odio dei pagani nei confronti dei cristiani era relativo alla diffidenza che nutrivano verso questa religione, di cui soprattutto non comprendevano lo sprezzo dei martiri verso i tormenti e la gioia verso la morte.
La politica dei persecutori, ovvero il divieto di dare sepoltura ai martiri, deriva dalla credenza pagana che le anime dei defunti possano attraversare lo Stige nell’Ade, solo quando i loro corpi sono stati seppelliti.
Lo stesso Giuseppe d’Arimatea dovette richiedere a Pilato il permesso di seppellire il corpo di Cristo.
L’ultima frase pronunciata, prima della conclusione del passo (1,63) ricorda molto il passo del vangelo di Matteo (27,42):
“Ha salvato gli altri, non può salvare sé stesso. E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo!”
In entrambi i casi, i pagani non comprendono il motivo per cui da una parte, i martiri soffrono nonostante dicano di avere un Dio così potente che potrebbe salvarli in quell’istante, dall’altra parte non comprendono perché Gesù re d’Israele decide di rimanere sulla croce e di morire.
Il valore salvifico della sofferenza è in effetti un concetto puramente cristiano: mai un pagano avrebbe pensato di soffrire e morire per le divinità in cui credeva, le stesse sventure, malattie, disgrazie, erano viste ai loro occhi come punizioni divine.
Il cristianesimo rovescerà completamente questa concezione: per un cristiano dunque, quando Dio manda una disgrazia, un dolore, una sofferenza, non lo fa per vendicarsi, ma perché desidera che quella persona gli stia più vicino nel dolore, come lui lo è stato con l’umanità durante la Passione.
PASSIO PERPETUAE ET FELICITATIS: breve introduzione
Di questo documento possediamo due redazioni, una latina ed una greca. Secondo alcuni studiosi, sarebbe originaria la redazione greca, altri invece hanno stabilito originaria quella latina. Secondo altri ancora, la composizione sarebbe mista: il racconto del martirio in latino ed il diario di Perpetua in greco.
La Passione comprende tre parti: il diario di Perpetua, il racconto della visione del catechista Saturo, un’introduzione e la narrazione del martirio, composta da un autore anonimo, forse un testimone oculare o secondo altri addirittura Tertulliano.
La data del martirio deve essere stata probabilmente intorno al 7 marzo 203, mentre la stesura della Passione deve essere avvenuta molto vicino alla data del martirio.
La protagonista della Passione è Perpetua, giovane matrona di 22 anni, arrestata insieme ad altri compagni catecumeni nel 202 o 203 in Africa proconsolare, giustiziata a Cartagine il 7 marzo.
Della famiglia d’origine della donna sono ricordati il padre, contrario al martirio della figlia, la madre, tre fratelli, di cui il primo catecumeno, il secondo cristiano e l’ultimo morto in tenera età, infine il figlio ancora lattante.
Altro personaggio molto significativo della Passione è Felicita, schiava o comunque di condizione umile.
La prima parte della Passione comprende il diario di Perpetua, ovvero gli avvenimenti successivi all’arresto: la prigionia nel carcere a Cartagine, gli incontri con il padre ed i familiari, la conversione del carceriere, l’interrogatorio pubblico e la condanna a morte. Successivamente abbiamo la descrizione di quattro visioni, ed il redattore fa seguire a queste, quella del catechista Saturo.
Secondo un topos tipico dei racconti martiriali, il gruppo di cristiani affronta prima i supplizi delle belve del circo uscendone miracolosamente indenne, successivamente è sottoposto alla decapitazione, dove in questo modo i martiri troveranno la morte.
4.1. Passio Perpetuae et Felicitatis: 4,1-4,10
Perpetua chiede al Signore la grazia di una visione, per sapere se è destinata al martirio o se avrà salva la vita.
Afferma quindi di vedere una scala di bronzo molto stretta che giunge fino al cielo.
Sembra quasi di udire le parole del vangelo di Matteo:
“Entrate per la porta stretta [..] quanto stretta è la porta ed angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Matteo 7, 13-14)
Sui lati della scala erano fissati vari strumenti di tortura: spade, lance, coltelli ecc.. Chi non teneva lo sguardo verso l’alto e saliva in maniera incauta, finiva dilaniato da
essi. Ai piedi della scala giaceva un serpente di incredibili dimensioni, che impediva l’ascesa ed aspettava chiunque s’avvicinasse per spaventarlo. Prima di Perpetua, sale Saturo, il catechista, che si era consegnato spontaneamente ai pagani per ricevere la corona del martirio. Arrivato in cima alle scale, si volta ed assicura a Perpetua che l’avrebbe aspettata.
Perpetua calpesta la testa del serpente e sale i gradini. Arrivata in cima vede un meraviglioso giardino ed un pastore canuto che mungeva le pecore, intorno migliaia di persone vestite di bianco.
Il pastore offre a Perpetua un boccone di formaggio, la quale lo prende a mani giunte. Successivamente, dopo essersi svegliata, comprende che il suo destino sarebbe stato il martirio.
Molte sono state le interpretazioni della visione, in chiave psicoanalitica, esistenziale, religiosa e simbolica. Nell’interpretazione delle immagini, si è pensato ad archetipi collettivi, ad un’influenza della cultura classica che di certo Perpetua deve aver ricevuto, insieme alla presenza di testi biblici e cristiani. Sono presenti dei caratteri che possono apparire non letterari, perché non rientrano negli schemi della letteratura classica; però dietro a questi appare evidente il modello della letteratura dei Vangeli e degli scritti del Nuovo Testamento.
Le visioni di Perpetua sono incentrate ovviamente sul tema del martirio, in più sui tre sacramenti dell’iniziazione cristiana: l’Eucaristia (prima visione, in cui il pastore le offre un pezzetto di formaggio che la giovane prende con le mani giunte), il battesimo (la vasca d’acqua della seconda visione) e l’unzione postbattesimale (l’unzione che Perpetua riceve prima del combattimento nella quarta visione).
Perpetua dunque, vuole tratteggiare le tre tappe della perfezione cristiana, segnate dai tre principali Sacramenti che conducono all’illuminazione dei misteri divini.
Il fatto che Perpetua scriva di propria mano il suo diario non è secondario, ma la donna dimostra di possedere coscienza di sé e soprattutto di voler comunicare questi fatti ad altri, come fossero strumenti di catechesi.
Inoltre, il redattore vede nella testimonianza dei martiri e nelle visioni di Perpetua la presenza di un carisma, una prova dell’azione dello Spirito Santo: Dio aveva infatti promesso di concedere con particolare ricchezza il dono della profezia ai suoi figli nei loro ultimi giorni.
E’ interessante constatare che Tertulliano, per confermare l’immediato accesso al Paradiso dei martiri, si rifarà alle visioni di Perpetua e di Saturo.
Per quanto riguarda l’interpretazione della visione, il primo elemento importante è dato dalla scala. Questa la ritroviamo spesso nella letteratura cristiana, in particolare nell’Antico Testamento (pensiamo alla scala di Giacobbe). La scala è un elemento di continuità tra terra e cielo, mette in collegamento i due estremi.
Riconduce inoltre al simbolismo del pellegrinaggio irto di difficoltà, come per tutti i percorsi dell’anima.
La scala inoltre, può essere sia discendente (Dio che si fa conoscere agli uomini), sia ascendente ( l’uomo che raggiunge Dio).
In cima ad essa, ad attendere Perpetua c’è Saturo, il catechista che l’aveva istruita nella fede, il quale la mette in guardia dal serpente.
Il serpente, che può essere tradotto anche come drago, cioè Satana, riconducibile al serpente nella Genesi ed a drago nell’Apocalisse, tenta di sbarrarle il passo.
Satana ragionevolmente, non vuole che la martire compia la sua ascesa, perché arriverebbe in Paradiso e quindi loderebbe Dio. Ma il serpente teme Perpetua, grazie a questo dunque la martire può calpestare la sua testa come fosse il primo gradino della scala. Solo dopo ciò, la martire può iniziare la sua ascesi spirituale.
A questo si rifà anche Agostino, affermando che in greco “serpente” corrisponde a “drago”, perciò ammonisce i cavalieri ad uccidere il drago prima di cominciare l’impresa.
L’ascesa è costellata dai numerosi strumenti di tortura del martirio, (coltelli, lance ecc…) tutto ciò simboleggia che il martirio è duro, è sofferenza, ma conduce al cielo.
Un altro aspetto importante è dato dalla fede di Perpetua, la quale l’ha riscattata dalla sua natura di donna: in questa prima visione, come la donna dell’Apocalisse, combatte contro il serpente.
Come la nuova Eva, Maria Vergine, anche Perpetua realizza l’antica promessa di calpestare la testa del serpente insediatore, cioè di Satana.
Perpetua e Saturo costituiscono quindi l’antifrasi della coppia Adamo-Eva, coloro grazie a cui si è avverata la profezia genesiaca di vittoria contro l’antico Avversario.
4.2. Passio Perpetuae et Felicitatis: 7,1- 8,4
Perpetua racconta di avere avuto una seconda visione: le era sembrato di vedere il proprio fratello carnale Dinocrate, morto di malattia in tenera età, che tentava di bere da una vasca piena d’acqua troppo alta.
Perpetua comprende che dunque Dinocrate si trovava in difficoltà, (probabilmente era in Purgatorio, in cui doveva mondarsi da tutti i peccati commessi ) e decide di pregare per lui ogni giorno.
Qualche giorno dopo, vede Dinocrate vestito ed in salute, la vasca piena d’acqua abbassata alla sua altezza, e sul bordo una coppa d’oro, da cui il fanciullo beveva copiosamente.
La martire comprende che dunque il fratello era stato liberato dalla pena.
Per quanto riguarda gli elementi più significativi della visione, iniziamo dal principio.
Mentre Perpetua era in preghiera, si ricorda improvvisamente della morte di Dinocrate. Attribuisce a questo ricordo un’azione dello Spirito Santo, che l’ha giudicata degna di pregare per lui.
Perpetua è convinta dell’efficacia della preghiera d’intercessione a favore dei defunti, soprattutto se queste preghiere provengono da una futura martire.
La liberazione di Dinocrate avviene in due fasi: nella prima, il fanciullo passa da una zona tenebrosa ad un altro luogo, anche se le sue condizioni non migliorano (non può bere dalla vasca piena d’acqua). Nella seconda fase la vasca è abbassata, così che Dinocrate possa bere. Perpetua comprende che dunque il fanciullo è arrivato al possesso di Dio, e si può dissetare nella sua visione beatifica.
Comunque, le descrizioni richiamano simbolicamente a situazioni di condanna connesse al peccato: le tenebre fanno pensare al regno della bestia (Apocalisse), il caldo di cui soffre il fanciullo richiama al quarto flagello che colpisce gli impenitenti, la ferita sul volto di Dinocrate è simile a quella prodotta dal primo flagello sugli uomini schiavi della bestia.
Per quanto riguarda la vasca abbassata e la coppa, la prima simboleggia il battesimo, la seconda il martirio di Perpetua (secondo battesimo, battesimo di sangue), i cui effetti salvifici sono applicati al fratello.
L’aspetto più interessante del passo è la credenza già molto diffusa del Purgatorio, ovvero il luogo in cui le anime dei peccatori devono mondarsi, prima di poter assistere alla visione di Dio.
4.3. Passio Perpetuae et Felicitatis: 17,1-17,3
In questo passo, i martiri, il giorno pima dei giochi del circo consumano una cena in comune, l’agape, esaltando la gioia del martirio e rallegrandosi a vicenda per la grande vocazione a cui sono chiamati.
Molti dei pagani, vedendoli in questa circostanza, si convertirono.
Qual è dunque il significato dell’agape?
L’ultimo pasto dei gladiatori, prima che questi fossero destinati alle fiere, era molto abbondante ed era inoltre ammesso ad assistere un pubblico. Veniva anche chiamato “cena libera”, liber, sia per la libera scelta delle vivande, sia per la “licenziosità”.
A questa “cena libera”, viene contrapposta l’agape, il pasto cristiano dove erano invece presenti l’amore fraterno, la religione, la pietà. I condannati si sforzavano di trasformare in agape, il copioso pasto che gli veniva presentato. Durante questo banchetto era probabilmente presente l’Eucaristia, espressione di un legame di una comunità umana vincolata dall’amore fraterno.
Il termine greco αγάπη è presente nel Vangelo di Giovanni come sinonimo di Eucaristia. L’equivalente latino caritas indica uno slancio dell’animo ed in ambito cristiano, una virtù, un dono della grazia, uno stato spirituale.
Si contrappone all’eros, ovvero il desiderio di inglobare l’altro, di possederlo.
Nel Nuovo Testamento l’αγάπη non è in contrapposizione con l’amore umano, ma ne costituisce una sublimazione e completamento. Rappresenta dunque il vertice più alto dell’amore, il punto in cui filosofia e religione si raggiungono, e si ama talmente tanto il prossimo in maniera gratuita ed incondizionata, da volerlo rendere partecipe della Verità raggiunta. E’ quindi un amore disinteressato, incondizionato ed assoluto.
BIBLIOGRAFIA
Studi
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MAZZUCCO C., E fui fatta maschio, Firenze, 1989
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[1] Introduzione Bastiaensen, atti e passioni dei martiri, fond. Lorenzo Valla pp. XVIII-XIX
[2] Introduzione Bastiaensen, atti e passioni dei martiri, fond Lorenzo Vallapp. XXI-XXII
[3] Bastiaensen Antonius Adrianus Robertus, atti e passioni dei martiri, fond Lorenzo Valla, Milano 1987
martyrium Polycarpi, 14,1
[4] Bastiaensen A.A.R., atti e passioni dei martiri, fond Lorenzo Valla, Milano 1987
martyrium Lugdunensium, 1,19