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Il Mediterraneo è sicuramente lo spazio in cui la civiltà umana ha ottenuto uno sviluppo particolarmente precoce e ricco. Ma è anche lo spazio del più intenso incrocio e scambio tra culture differenti per struttura etnica, linguistica, culturale, religiosa, politica. Sicuramente fra questi due tratti caratteristici dello spazio mediterraneo esiste un nesso causale. La differenza ha intensificato lo sviluppo e lo sviluppo ha prodotto differenze. Nonostante le frizioni politiche anche molto gravi la cultura ha conquistato nel Mediterraneo una sua posizione primaria che ha poi mantenuto lungo i secoli. Proprio in questa centralità della cultura – intesa come complessiva capacità di conoscere – si è fissata la separazione tra Occidente e Oriente così come la consequenziale aspirazione alla universalità.
Questa caratteristica diventerà il contrassegno della “civiltà occidentale” e sarà la matrice della fioritura che in essa avranno letteratura, filosofia, scienza, musica e arti visive.
La separazione è stata il frutto, per così dire, di una doppia lotta pratica che le culture del Mediterraneo dovettero sostenere prima contro i persiani e poi contro i cartaginesi. La sconfitta dei persiani ad opera di Alessandro Magno (331) e di Cartagine (146) ad opera di Scipione costituisce dunque un riferimento storico-politico fondamentale. Al centro del Mediterraneo si insediò la civiltà greco-romana.
La civiltà greca ha prodotto le radici stesse della civiltà umana e in particolare la grande letteratura, la prima storiografia, la prima filosofia, i rudimenti della scienza. Ma l’esperienza greca si è sostanzialmente arrestata alle soglie della civiltà politico-giuridica restando ristretta entro le mura della polis. È stata la civiltà romana a costruire l’edificio della convivenza politico-giuridica. In estensione, innanzi tutto, con la assimilazione e incorporazione di molte entità etniche in una unitaria comunità politica vasta e articolata. Ma poi anche in profondità grazie alla progressiva e raffinata regolazione dei rapporti di convivenza entro ambiti di vita assai diversificati: diritto delle persone, diritto di famiglia, diritto delle successioni, diritto delle obbligazioni, diritti reali, diritto commerciale, diritto della navigazione. Roma, inoltre, ha gettato le basi di un sistema politico laico, a forte caratura istituzionale e proiettato verso forme di collegamento internazionale.
L’impulso conferito dai Romani allo sviluppo della navigazione marittima ha conseguito nel Mediterraneo dei risultati straordinari. Roma, infatti, è riuscita a fare di quell’ampio e bellicoso mare un placido lago interno brulicante di vita, di traffici commerciali e di ogni genere di altre attività marittime, come pesca, viaggi e diporto. A questo proposito, Publio Elio Aristide (II secolo d.C.) scriveva, parlando di Roma e del suo grande porto marittimo:
Il mare Mediterraneo come una cintura cinge il centro del mondo … E così numerose approdano qui le navi mercantili, in tutte le stagioni, ad ogni mutare di costellazioni, cariche di ogni sorta di mercanzie, che l’Urbe si può paragonare al grande emporio generale della terra. … Partenze ed arrivi di navi si susseguono senza sosta; c’è da meravigliarsi che non nel porto ma nel mare ci sia abbastanza posto per tutte le navi mercantili.
La facilità delle comunicazioni marittime fra tutte le rive del Mediterraneo ha favorito la romanizzazione dell’Impero, che non è stata una monotona riproduzione stereotipata della matrice con gli usi e costumi dei Romani, ma un ampio e complesso fenomeno di osmosi che ha consentito il reciproco arricchimento delle varie popolazioni. Anche se il latino era la lingua ufficiale dello Stato e veniva progressivamente adottato in tutto l’Occidente, Roma non imponeva a nessun popolo l’abbandono del proprio idioma: si trovano tuttora sulle rovine romane del nord-Africa delle scritte bilingui, in latino ed in punico (la lingua del peggiore nemico che Roma avesse mai avuto); per l’intera durata dell’Impero, inoltre, tutta la metà orientale del Mediterraneo ha sempre continuato a parlare greco. Per contro, proprio in Roma (che in origine si era alimentata della cultura etrusca e di quelle delle altre popolazioni d’Italia) permaneva una costante propensione ad assorbire tutte le novità che le pervenivano dalle varie parti dell’Impero: dalla cultura ellenica alle suggestioni dell’Oriente, passando attraverso l’immissione di idee, prodotti, abitudini, mode, filosofie, culti e superstizioni di tutte le popolazioni del Mediterraneo.
In quel mondo cosmopolito, multietnico, multirazziale e multilingue, tutti diventavano Romani e tutti erano posti in condizione di contribuire all’arricchimento culturale ed alla gestione della cosa pubblica, senza preclusioni, fino a raggiungere le più alte cariche politiche, amministrative o militari, in ambito locale o a livello centrale.
In definitiva, quando si parla di Civiltà Romana, occorre necessariamente riferirsi all’insieme dei valori che hanno governato e reso grande l’Impero di Roma, valori che riflettono ampiamente i contributi provenienti da tutte le rive di questo grande mare interno che tutto il mondo romano chiamò, a giusto titolo, Mare Nostrum.
Con la decadenza dell’Impero Romano stava già nascendo una nuova civiltà europea, scaturita dalla religione cristiana, che sentiva anch’essa il richiamo del mare. Poi, come sappiamo, tutto l’alto medioevo è segnato dal confronto di civiltà molto diverse. La complessa civiltà franco-germanica è legata alla presenza secolare del Sacro romano impero e in particolare – con Federico II – alla genesi stessa della lingua e della civiltà culturale italiana.
Il mare Mediterraneo, questo mare nostro (Mare Nostrum) che sta in mezzo a terre che le bagna, le addolcisce e alimenta, non è solo forma d’acqua. Il mare è musica, voce e danza, ritmo, un ritmo che è germe di un frattale. Il nostro mare genera un’equivalenza nelle terre che lo circondano, nel loro clima, nel loro paesaggio, nei loro abitanti.
Ma che cos’è realmente questo mare, questo gran verde degli egizi, questo salato dei greci? Dove comincia e dove finisce? La realtà poetica del mare è aurorale, ma le sue ondate superano i secoli. Eschilo fa parlare l’Oceano con Prometeo, Dante paragona la volontà di Dio a “quel mar a qual tutto si muove ciò ch’ella crïa o che natura face”, Heine lo considera un “lottatore sempre sconfitto”, Ungaretti lo converte in “Una bara/ di freschezza”.
La melodia dell’acqua passa ai modi musicali greci e all’arpa egizia; la sua chiara sottigliezza passa alla stilizzazione degli affreschi faraonici, a una corolla di loto della tomba di Menna, alle vigne del panteon di Sennefer, a un’anfora fenicia, alla capigliatura della dea Tanit, al tropismo dei mosaici bizantini o delle ceramiche delle moschee. Non c’è una sola identità mediterranea, ma ce ne sono tante.
Si può parlare di tre cerchi che circondano il Mediterraneo insito in un atto artistico, dall’esterno verso l’interno. Primo cerchio: le religioni e la mitologia.
Le religioni mesopotamiche, le religioni anatoliche e le loro derivate, il giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo; le mitologie mesopotamiche, anatoliche e greche; l’umanesimo. Secondo cerchio: la civiltà greco-romana, quella araba medio-orientale; gli elementi geografici (il clima, la flora, ecc.). Terzo cerchio: le strutture intellettuali ed emozionali, riflessi della cultura nazionale, le storie locali, le lingue nazionali, il folklore.
Così, il viaggio è il tema per eccellenza di questo Mare Nostrum le cui acque da millenni sono state solcate da ricordi indelebili, miriadi di frammenti che compongono quell’unico immenso affresco che costituisce la nostra memoria.
Le stratificazioni culturali di cui sono pregne le diverse città che si affacciano sul Mediterraneo sono il frutto della stessa mano; sono il risultato dell’incessante opera degli esseri umani che, con il proprio sforzo, si pongono al centro di questa straordinaria avventura. Però la realtà ha mille aspetti e il volto dell’Oriente non è quello del mendico, come il volto dell’Occidente non è solo quello di una macchina da guerra. Così, penso che il Mediterraneo sia una questione centrale nell’Europa e nel mondo.
Oggi il processo di unificazione, che dovrebbe vedere tutti i popoli che ne fanno parte come federati e collegati in un organismo unitario, che nella differenza sia ispirato allo stesso progetto di crescita e di vita, nei fatti si trova a smentire gli obiettivi e le finalità verso cui si proietta la sua stessa fondazione. E’ smentito dalla parzialità della costituzione degli Stati che compongono l’Unione Europea, dall’esistenza di una divisione fra le cosiddette due Europee, quella ricca e quella povera, quella dell’Occidente e quella dell’Oriente. E’ smentito dall’esistenza di uno stato di conflitto e di divisione. Si tratta di divisioni etniche, di natura statuale, profonde, che diventano politiche e sociali.
Oggi in Europa l’immagine di una progressiva e futura società multiculturale si proietta su una realtà già connotata da una forte commistione con altre culture.
L’immigrazione crescente sollecita la necessità di conoscere l’altro come risorsa utile a rimuovere preconcetti ed a sedare paure generatrici di rigurgiti razzisti. La cultura può fare questa sua parte se pone come istanza un’unità europea che non sia esclusivamente fondata sulle relazioni economico-finanziarie, ma sia unità culturale, di interrelazione etnica, di cittadinanza. Solo così si potrebbero combattere le ragioni che favoriscono e predeterminano gli sbocchi degenerativi, violenti, sanguinosi dei conflitti etnici, nazionali, come vediamo in tutta l’area della penisola balcanica.
La cultura della diversità pone un valore fondamentale, quello della contraddizione verso il suo sbocco positivo, quello di non annientare mai le identità che entrano in conflitto fra loro, ma di mantenere viva la compresenza.
Ignazio Silone prendeva spunto dal progetto di Goethe che riassumeva nel concetto di letteratura mondiale. Silone affermava che l’umanità aveva bisogno di riconoscere la diversità delle culture prima di procedere ad una visone unitaria delle stesse, poiché “accomunarle sarebbe stato prematuro, chimerico, senza reale fondamento”.
Quindi nell’età della globalizzazione e della tecnologia avanzata l’eredità umanistica e laica della classicità conferisce allo spazio mediterraneo funzioni importanti. L’universalismo e la poliedricità delle tradizioni culturali che vi si sono accumulate consente di fornire basi non fragili ai processi di integrazione etnica, sociale e politica. La visione cosmopolitica ereditata dal mondo greco-romano e rivisitata dal cristianesimo può costituire un fondamento non mercantile dei processi di unificazione del mondo. Ma questo rilancio moderno della classicità esige che lo spazio mediterraneo superi i ritardi gravi della sua organizzazione socio-politica. In particolare vi si devono completare due processi della modernizzazione. In primo luogo va completata la costruzione di Stati nazionali laici, impedita in passato dalle due formazioni a base religiosa che hanno frantumato gran parte dello spazio mediterraneo: il Sacro romano impero e l’Impero ottomano. In secondo luogo i nuovi Stati nazionali debbono assimilare le istituzioni, i principi e la cultura politica del moderno Stato democratico di diritto. In questo quadro una funzione importante spetta a quei paesi mediterranei Francia, Italia, Spagna che sono più avanti nel processo di modernizzazione. Essi hanno al tempo stesso la funzione di rappresentare le ragioni dei nuovi Stati di fronte alla comunità internazionale e quella di far valere nelle aree meno sviluppate i principi della convivenza fissati dal nuovo diritto internazionale democratico. L’indipendenza delle nazioni su basi etnico-territoriali deve poter convivere con i principi laici della autodeterminazione basata sul suffragio universale, sulle libertà moderne, sulla Carta dei diritti umani.
Con la fine della guerra fredda si sono trasformate pure le forme di dialogo tra i vari interlocutori e da una forma di bilateralità si è oggi passati alla multilateralità, dove irrinunciabile si rivelerà allora l’apertura verso le forme di diversità culturale. Il confronto tra culture dovrebbe sempre racchiudere un atteggiamento di serena e reciproca accettazione verso la diversità degli altri, ma anche la conservazione dei tratti tipici delle singole identità che rappresentano, allo stesso tempo, la peculiarità e la ricchezza di ogni popolo. La nuova sfida per la diplomazia culturale italiana oggi sarà quella di nuovi spazi di collaborazione e di dialogo in aree geografiche delicate, dove è assolutamente necessario adottare strategie integrate in cui la cultura interagisca con la politica e con il mondo degli affari.
Allora, contro la crisi bisogna:
1) effettuare un’integrazione delle attività culturali italiane nel dialogo politico in atto in aree dove queste attività possano favorire l’intesa interculturale e il processo politico di distensione e pacificazione, nell’ambito di una più ampia azione per il miglioramento della conoscenza e della comprensione fra i popoli;
2) incentivare le aree geografiche caratterizzate da una forte presenza delle comunità italiane, di eventi culturali da realizzare, sentito anche il parere del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, con il supporto di imprenditori ed esponenti di prestigio delle stesse comunità, al fine di valorizzarne il ruolo e l’importanza tanto in rapporto all’Italia che al paese di residenza;
3) effettuare una promozione di attività culturali legate alla produzione italiana contemporanea nei diversi settori: arti visive, teatro, danza, musica, letteratura, cinema;
4) valorizzare ancora di più la cultura scientifica e tecnologica, ivi incluse le scienze sociali e giuridiche, da realizzarsi mediante l’attivazione e l’incentivazione delle iniziative previste negli accordi in materia, che contemplano progetti di collaborazione tra istituzioni specializzate italiane e straniere, scambio di ricercatori, missioni archeologiche, organizzazione di convegni e incontri periodici;
5) infine concretizzare il processo di integrazione culturale tra i Paesi dell’Unione Europea, anche attraverso i progetti varati dal Consiglio d’Europa, che prevedono l’omogeneizzazione dei programmi di insegnamento della lingua straniera in ambito comunitario e della certificazione dei livelli di apprendimento.
Giovanni TERESI